La zia Ida portava l’appellativo di signorina, ovvero Signorina Terzi, quasi fosse un titolo nobiliare, come se l’avessero chiamata duchessa. Procedeva sempre a testa alta, con i capelli ondulati dal taglio corto e arioso, il signorile naso aquilino e gli occhi attenti. Aveva una voce squillante con l’erre moscia e un lieve accento parmense nella parlata. Vestiva con cura, indossando però abiti comodi, con graziose sciarpe al collo e scarpe fatte su misura. Se mi si permette l’ossimoro, era austeramente civettuola.
L’ho capito troppo tardi per poter esprimerle il mio profondo apprezzamento, ma le scarpe e il “signorina” erano un simbolo della conquistata (e mantenuta) libertà, libertà di agire e pensare come voleva, senza il consenso o l’approvazione di nessuno. In particolar modo di un marito.
Comincerò dalle scarpe perché è una cosa che le ho da sempre invidiato. Negli anni ’50 e ’60 – l’epoca della mia adolescenza e della prima giovinezza – le scarpe femminili erano strette e appuntite. Non esistevano in commercio modelli studiati per i piedi dalla pianta larga, quelli che avevamo io e la zia Ida; l’unica soluzione era quella di farsi fare delle scarpe su misura, che comunque poi risultavano incongrue rispetto alla moda corrente. Ora non farebbero alcun effetto, sarebbero alcuni dei modelli in vetrina nei negozi di calzature comode, con punta arrotondata, tacco medio e largo, magari rese più attraenti da fibbie o fiocchi.
Ma allora non c’erano e ricordo con vivezza il fastidio, se non il dolore, che provavo nel camminare con le scarpe d’ordinanza.
Chi non ha mai sofferto per delle calzature inadatte non può capire: al minimo ci si accorge ad ogni passo di avere i piedi e al massimo si vorrebbe andare scalzi. Persino gli scarponi da montagna seguivano le stesse regole estetiche e ricordo alcune gite in val di Fassa come autentiche torture. Ma la zia Ida aveva risolto il problema facendosi fare le scarpe su misura; ne aveva più paia, per le diverse stagioni ed erano molto personali e diverse da tutte le altre. Non so se le avrei mai indossate, qualora all’epoca ne avessi avuto i mezzi; la zia Ida sì, e lo faceva con estrema naturalezza.
Ora anch’io ho bandito da tempo le scarpe carine dal mio guardaroba, ma adesso è facile, in epoca di scarpe tecniche di varia foggia e colore. Allora purtroppo la gente ci faceva caso e ci voleva la sicurezza di sé della zia Ida per infischiarsene del loro giudizio e … camminare comoda.
Passo ora al “signorina”, che necessita però di una lunga premessa.