Metodo Terzi

La zia Ida è stata sempre una figura non solo positiva nella vita di noi nipoti che eravamo numerosissimi, ben ventuno, figli dei tanti suoi fratelli – ma anche ben presente, pur nel suo tipico modo saltuario: arrivava e ripartiva senza apparente programmazione. Diversamente dagli altri zii, non le passava neppure nell’anticamera del cervello di sgridarci o correggerci, una dote da noi molto apprezzata. Ci prendeva come eravamo, senza

(apparentemente!) pretendere di educarci; faceva con noi giochi inusuali e ci osservava attentamente, chiedendoci spesso perché facevamo le cose in quel modo e non in un altro.

La positiva presenza della zia Ida nei fatti l’ho sperimentata con le mie sorelle quando avevo sette anni. Era il 1943 e si era in pieno periodo di guerra; noi bambine (eravamo quattro, dai nove ai due anni, figlie del fratello Paolo), eravamo sfollate con la mamma a Sale Marasino, un paese del bresciano che si affaccia sul lago d’Iseo. La vita era spartana, la mamma con tanti figli sempre indaffarata (l’ultimogenito, il quinto, era nato da pochi mesi), e noi crescevamo un po’ selvatiche.

Il nostro abbigliamento era praticamente identico estate e inverno; solo, d’inverno, si indossava un golf e si mettevano i calzerotti ma le gambe erano nude e le gonne di cotone.

In realtà noi avevamo dei pantaloni di tela blu, tipo tuta da lavoro, direi dei precursori degli attuali jeans, con bretelle, pettorina e tasche, che la mamma ci aveva fatto fare; ma non li potevamo indossare, almeno non a Sale, il parroco ci aveva incontrati una volta in paese mentre portavamo quei pantaloni e aveva scritto alla mamma una lettera in cui le chiedeva di “rimettere le sottanine alle sue figliole e che arrivino alle ginocchia”. I pantaloni infatti erano secondo lui “una innovazione sovvertitrice di un costume…che va rispettato…ed è che le donne abbiano il loro vestito”.

 

Distinta Signora Terzi stamani ho incontrato le sue bambine

non ho potuto trattenermi dal dir loro: Bambine, così non va. Manderò un biglietto alla Mamma.

Eccolo.

Per pregarla a rimettere le sottanine alle sue figliole almeno quando sono in pubblico e che arrivino alle ginocchia.

Lo riconosco. Non potevano essere più modeste e corrette di così.

Ma l’innovazione è sovvertitrice d’un costume che, salvo ragioni d’utilità, non di comodità, va rispettato. Ed il costume è che le donne abbiano il loro vestito. Tant’è vero, che anche una disposizione ministeriale proibisce loro in genere l’uso dell’abito maschile.

Lo sa che sono in imbarazzo anche loro a girare in pantaloni? Tutti guardano e dicono la loro. Io mi sono permesso di dirLe il mio pensiero nella certezza d’essere compreso e ascoltato.

Il piccolo Luca, sta bene? Per lui, sorelline e Genitori imploro benedizioni ed assicuro un particolare ricordo nella S. Messa. il Sac Cavalli    3-9-943