Metodo Terzi

…in realtà nessuna delle mie due ipotesi (mancanza del titolo accademico o gelosia per la primogenitura delle sue esperienze o idee) era la vera causa della depressione della zia Ida. Non aveva difficoltà nei rapporti interpersonali nell’ambiente universitario ed aveva accettato di condividere l’ideazione dei suoi interventi rieducativi. La verità l’ho saputa molti anni dopo, da mio cugino Lodovico con cui mi ero messa a parlare di quel difficile periodo passato a casa mia. 

Lodovico Terzi, il maggiore dei nipoti della zia Ida, più giovane di lei solo di una quindicina di anni, era il saggio della famiglia.

Giornalista e scrittore, guardava con profondità ogni questione posta alla sua attenzione ed era recipiente di molte confidenze.

Ormai la zia Ida era morta da tempo e Lodovico si è sentito libero di passarmi una stretta confidenza, da lei fattagli tanti anni prima, che io qui riporto per sommi capi, perché mi pare descriva troppo bene la libera personalità, l’inusuale attitudine di una donna nata e cresciuta nei primi decenni del ‘900.

Ed ecco la ragione: la zia Ida si era innamorata! Corrisposta.

Ma invece di portarle gioia, la cosa le aveva scombussolato l’esistenza.

Lei, l’intrepida amazzone, si era lasciata coinvolgere in una trama sentimentale!

Non era concepibile. Non per lei.

Va ricordato che la scelta di essere single, come diremo oggi, era stata una scelta volontaria: una ventenne zia Ida era stata chiesta in sposa da un giovane interessante, intelligente, di buona famiglia, che lei aveva rifiutato!

Bisogna capirla: era appena riuscita ad uscire di casa e a costruirsi una sua vita indipendente e autonoma e l’esempio che aveva avuto in famiglia del padre accentratore e dominatore non l’aveva certo invogliata.

Mio nonno è stato certamente un serio, intelligente e capace professionista, ma anche un padre dispotico e un marito nevrotico.

E così Ida aveva rifiutato un ottimo partito e imboccato la sua linea di vita. Il buon partito era poi diventato un medico di grido e un noto “barone” dell’Università di Milano. Anzi negli anni seguenti i loro rapporti si erano mantenuti così civili che la zia Ida, quando stava cercando chi la potesse presentare in università per poter condurre le sue ricerche, si era rivolta a lui e da lui era stata introdotta, rendendosi garante della intelligenza e della serietà della sua protetta, presso il prof. Cazzullo, titolare della cattedra e direttore dell’Istituto di Psichiatria Infantile.

E torniamo al punto: per Ida era inimmaginabile perdere la libertà. Non erano per lei la miriade di piccole incombenze pratiche che quotidianamente gravano su una donna sposata, o anche solo legata ad un uomo, e che la allontano dall’empireo delle idee astratte, spazio abitato perciò principalmente dagli uomini.

Così di nuovo si è defilata dal corteggiatore. La originale cura per guarire se l’è scovata da sola.

Ha lasciato l’ordine e il confort di una camera per sé in una casa forse troppo tranquilla per la sua creatività e si è buttata nella vita reale chiedendo ospitalità a Paola, madre di tre figli scatenati, in una casa dove le voci non mancavano certo anche se lo spazio era minore e dove doveva dormire sul divano in sala. In più Paola, insegnante di scienze, era una interlocutrice perfetta per discutere e confrontare quotidianamente la validità delle sue idee e i risultati delle sue ricerche. Noto per inciso, che l’ospitare la zia Ida è stato un bene anche per Paola la quale, attraverso  i quotidiani confronti, ha messo a punto un suo personale modo di insegnare la geometria e la matematica, e un suo personale metodo con cui affrontare l’insegnamento delle scienze. La cura auto-prescritta ha funzionato alla grande. Dopo un lungo periodo di sofferenza la zia Ida è ritornata la solita: sempre signorina, sempre guerriera, sempre Minerva.