Sono mamma di un ragazzo oggi 22enne.

Alessandro aveva 3 anni quando mi accorsi che c’era qualcosa di speciale in lui. 

Aveva iniziato a stare in piedi e a muovere i primi passettini ad 11 mesi saltando quasi il “gattonamento”, faceva piccole cose che avrebbe dovuto fare più avanti con i mesi.

E’ sempre stato un ragazzo (allora bambino) più alto della media e al nido mi dicevano che era molto curioso, precoce e sveglio, nel senso buono della parola. Quando ha iniziato ad andare all’asilo, le maestre hanno però cominciato a lamentarsi. Secondo loro sembrava che non capisse correttamente le consegne e che fosse disattento, mi sembrava che parlassero di un altro bambino e non di lui. 

Nell’ultimo anno della materna, un giorno quando andai a prenderlo, mi vidi venire incontro la maestra e mi disse che quel giorno Alessandro era stato messo nell’aula dei piccoli  e non gli avevano fatto fare il pane spiegandomi che quando era stato chiesto ai bambini di lavarsi le mani Alessandro lo aveva fatto con il sapone e invece avrebbe dovuto lavarsi le mani solo con l’acqua. 

Rimasi un po’ stupita da questa affermazione e così come mia abitudine, prima di prendermela con Alessandro o con la maestra avevo deciso che avrei ascoltato mio figlio e poi deciso cosa fare. Quando chiesi ad Alessandro come era andata e cosa era successo mi raccontò i fatti e quando io gli dissi che la maestra mi ha detto che non doveva lavarsi le mani con il sapone lui mi rispose che per lui lavarsi le mani voleva dire farlo con il sapone e lavarle solo con l’acqua voleva dire sciacquarle, non fa una piega mi dissi, e dato che è anche precisino ho capito che la maestra non era stata chiara con lui ritenendo il suo comportamento il comportamento di un piccolo e non di un grande e non aveva capito che lui con la sua marcia in più aveva eseguito correttamente il compito. 

Cominciai a stare molto più attenta ai segnali, vedevo in Alessandro un bambino molto sveglio e intelligente ma qualcosa mi sfuggiva. Iniziate le elementari, è iniziato anche il nostro “calvario” e ogni volta che dicevo che forse era meglio approfondire mi dicevano che “era colpa di Alessandro” nel senso che conosciamo “che è lui che non vuole”  ma per il mio intuito e le esperienze dell’asilo, mi dicevo che non era proprio così. Visto che ero inascoltata, ho cominciato a cercare i pezzi del “puzzle”.  

Il neuropsichiatra Infantile aveva fatto diagnosi di dislessia, disortografia e disgrafia. La sua scrittura era tale che non riusciva nemmeno a rileggere ciò che scriveva, men che meno a correggere gli errori fatti. Gli interventi fatti non avevano lasciato traccia su Alessandro. 

Non conoscevo ancora il metodo Terzi, intuivo soltanto che per aiutare mio figlio dovevo trovare un modo diverso di farlo approcciare all’apprendimento e mi dissi che avrebbe potuto essere interessante trovare il modo di fargli sentire e quindi di interiorizzare le nozioni. 

Pensavo che forse era solo una mia idea e forse di difficile attuazione, ma non mi sarebbe costato nulla se non del tempo, cercare di capire se qualcun altro, in chissà quale capo del mondo, aveva valutato la mia stessa soluzione. 

E’ stato così, cercando  in Internet che mi sono imbattuta nel metodo Terzi. Non ci credevo di aver trovato quello che cercavo, e più leggevo più ero convinta di aver trovato quello che cercavo ed era in Italia e l’Associazione era italiana e raggiungibile. 

E’ stata la nostra salvezza, e affrontavamo volentieri la distanza da Trento alla provincia di Treviso perché trovavamo le risposte ai nostri bisogni! Ancora oggi quando ci penso sento la stessa sensazione di libertà di allora, di quando ho capito che potevamo farcela. E ce l’abbiamo fatta!